I FILOMARINO A ROCCADASPIDE

 I FILOMARINO A ROCCADASPIDE
.- Da ricerche su internet e archivi storici -
La famiglia Filomarino è una delle più antiche della città di Napoli, le sue origini risalgono all’epoca del Ducato, con MARINO (fine X secolo) che ricopriva la carica di Console.
I suoi figli erano chiamati "filii Marino" e, quindi, presero in seguito il cognome Filomarino.
Il Casato ricoprì importanti cariche in campo civile, militare ed ecclesiastico, ebbe numerosi feudi e fu insignito, nei suoi vari rami, da varie onorificenze e titoli, tra i quali:
  • Conti di Rocca d’Aspro (1549)
  • Principi di Squinzano, Rocca d’Aspro (1610) e Triggiano.
Stemma famiglia Filomarino dei principi di Rocca d'Aspide à
Nel 1481 GIOVANNI e TOMMASO parteciparono alla guerra di Otranto contro i Turchi.
 
L’evento fu commemorato con una lapide a TOMMASO FILOMARINO nella Chiesa della Natività di Roccadaspide:
THOMAE FILOMARINO EQUITI CLARISS.
APUD REGES ARAGONEOS
IN HYDRUNTINA CONTRA TURCAS EXPEDITIONE
MAGISTRO MILITUM
IO : BAPT : FM : PRIMUS ROCCANOR COMES
MERITA OB INNUMERA
ATAVO INTEGERRIMO
PUSILLAM HANC EREXIT URNAM
AN:D:M :D:LXIV:
Traduzione:
"A Tommaso Filomarino chiarissimo cavaliere, comandante di fanteria presso i Re aragonesi nella spedizione otrantina contro i Turchi, Giovambattista Filomarino, primo Signore rocchese, all'avo integerrimo, per gli innumerevoli suoi meriti, eresse questa piccola urna. Anno del Signore: 1564". 
La nobile casata nel 1559 si divise nei rami: della Torre e di Rocca d'Aspro.
Appartengono al secondo ramo:
  • GIOVANNI BATTISTA I, nato nel 1515, nipote di Tommaso, fu primo Conte di Rocca d’Aspro nel 1549, già feudatario di Monteleone Calabro. Matrimonio con Violante Carafa. Su una lapide esistente nel Duomo di Napoli sta scritto: - Et gesta Roccae comitis titulu merult MDIL (meritò per le sue gesta il titolo di primo Signore di Rocca nel 1549). Mori nel 1577, a 63 anni.
  • TOMMASO, suo figlio, succedutogli nel 1578, PRIMO PRINCIPE della Contea rocchese dal 1610, e Duca di Castellabate dal 1578, unitamente alla moglie donna Beatrice Guevara, fondò il Conservatorio delle Religiose di S. Elisabetta del 30 Ordine del Serafico S. Francesco del Monastero di Rocca 1626. Sconfisse il 29 giugno di quell'anno, i Turchi di Biserta (una città costiera della Tunisia), i quali ne tentarono la conquista con 7 galee e 2 brigantini. Morì nel 1630.
  • FRANCESCO, figlio di Tommaso, Signore di Diano (Teggiano), nel 1632; e Duca di Castellabate e di Perdifumo, che fu acquistato da Marcantonio Filomarino per ducati 21.000 nel 1616 e passato a questo suo discendente. Quale Cavaliere, nel 1660 prese parte alla guerra di Candia (un comune dell'isola di Creta). Alla morte dei fratelli, senza prole, assunse il titolo di Principe di Rocca, per non far finire la sua famiglia del ramo rocchese.
Durante il XVII secolo i Filomarino della Rocca si distinsero con il principe Francesco, che intervenne efficacemente nella rivoluzione popolare del 1647-48. Egli agì da paciere tra i "lazzari" (erano giovani della classe popolare di Napoli che propugnavano la sommossa) e l'autorità spagnola; fu infatti nominato "grassiere", ovvero prefetto dell'annona, da Masaniello, ma al tempo stesso intavolò trattative con il comandante delle truppe iberiche assedianti, Don Giovanni d'Austria. Contribuì, inoltre, a contrastare le pretese accampate sul trono di Napoli da Enrico II, duca di Guisa, in qualità di discendente di Renato d'Angiò.
Alla fine il principe della Rocca si accordò con Gennaro Annese, il quale era diventato capitano del popolo napoletano dopo la morte dello stesso Masaniello: il 6 aprile 1648, mentre l’esercito spagnolo entrava nei quartieri ribelli della città, il Filomarino si recò a rendere omaggio a Don Giovanni d'Austria a Portalba, ottenendo contemporaneamente dall’Annese la pacificazione di Napoli. Durante la rivolta, però, il palazzo del principe della Rocca aveva subito gravi danni; la casa, infatti, era stata utilizzata dai popolani come avamposto dal quale essi avevano fronteggiato gli spagnoli attestati sul prospiciente campanile della Chiesa di Santa Chiara.
I combattimenti tra le due parti infuriarono a partire dal 7 ottobre 1647 e continuarono per molti mesi. In questo periodo i rivoluzionari occuparono la vicina Chiesa di Santa Marta, ma ben presto furono costretti a indietreggiare e ad arroccarsi nella parte bassa del monastero di San Sebastiano e all'interno della dimora dei Filomarino; da qui, attraverso un passaggio sotterraneo, tentarono addirittura di porre una mina sotto il campanile di Santa Chiara, per far saltare in aria il presidio spagnolo.
Il 9 marzo 1648 i soldati di Filippo IV di Spagna sottoposero a un fitto bombardamento le postazioni dei lazzari: le cannonate devastarono la zona intorno al Gesù, trasformando in un rudere la chiesetta di Santa Marta e abbattendo la parte superiore della casa del principe della Rocca. Questi si dedicò subito alla ricostruzione del palazzo, (Il palazzo fu costruito nel 1512 dai Brancaccio, poi passò ai Sanseverino di Bisignano e, successivamente, fu acquistato da Tommaso Filomarino, conte della Rocca.) successivamente abbellito dal suo erede, il fratello GIOVAMBATTISTA, figlio di Francesco e dal di lui figlio FRANCESCO, che ne divenne proprietario nel 1685.
  • FRANCESCO, principe della Rocca, figlio del citato Francesco, fu uomo di lettere; compose alcune opere e il suo salotto era frequentato da letterati e artisti. Fu grande amico di Giambattista Vico.
 
Fu proprio il principe Francesco Filomarino della Rocca ad allestire nella sua casa quella galleria d’arte ricordata da Carlo Celano (un avvocato, letterato e religioso italiano, che lasciò un accurato censimento dei monumenti di Napoli, aggiornato alla fine del Seicento) nella terza giornata delle Notizie con viva ammirazione; essa conteneva circa duecento quadri dei più importanti pittori degli ultimi tre secoli, una raccolta di trecento ritratti di uomini e donne famosi, medaglie, cammei ed altre "galanterie" d'argento e cristallo. All'inizio del Settecento l'ottavo principe della Rocca, Giambattista, commissionò a Ferdinando Sanfelice l'esecuzione del portone che ancora oggi si vede.          à                              à                             à
  • TOMMASO, come erede diretto, venne in possesso del Feudo di Perdifumo nel 1687, che passò al figlio NICOLA, il quale 1'11 giugno 1700, con atto notarile del Notar Francesco Nicodemo, rinunciò al citato feudo a beneficio dello zio GIACOMO.
  • GIACOMO Principe dal 1700 al 1745 e anche Duca di Perdifumo.
  • GIAMBATTISTA II, figlio di NICOLA, che gli successe nel 1746. Egli, in un documento del tempo, s’intitolava 80 Principe della Rocca e 7° di Perdifumo. Il matrimonio del Principe con Maria Vittoria Caracciolo, marchesa di Sant'Eramo, avvenuto nel 1721, occupa un piccolo posto nella storia della letteratura e della filosofia, poiché Giambattista Vico, che era stato precettore dello sposo, compose in tale fausta occasione la sua opera poetica di maggior rilievo, "l’epitalamio Giunone in danza" (1725-1730), nel quale l’autore della Scienza nuova accenna a Palazzo Filomarino nei seguenti termini: «Questa augusta magione, e d’oro e d’ostro riccamente ornata, ove 'n copia le gemme, in copia i lumi spargon sì vivi rai...».
Nel 1700 la principale via di accesso a Rocca d’Aspro era a valle del paese e consisteva in una ripida viuzza che, partendo in prossimità del Convento Francescano, s’inerpicava fino al Castello. Venute meno le ragioni che nel medioevo avevano indotto gli abitanti a trovare riparo tra le colline e i monti, fu deciso di realizzare una nuova strada carrozzabile che, partendo dal Castello, col taglio delle rocce dello Scanno e della Difesa Santa Maria, solcasse a mezza costa la montagna, passando per Tuoro e Pedaline, fino a raggiungere Seude di Capaccio. La strada fu inaugurata il 15 settembre del 1728, così il Principe poteva raggiungere più comodamente, con l'uso della carrozza, il Castello di Rocca. Nel tempo stesso si crearono le condizioni per lo sviluppo e il progresso della comunità rocchese, da troppi secoli isolata entro le mura cittadine.
All’eccezionale intervento, che rese necessario un profondo e ampio squarcio nel costone roccioso, partecipò con impegno tutta la popolazione del nucleo abitato. A ricordo dell'immane lavoro compiuto in località Scanno, fu scolpita nella roccia un'iscrizione latina nella quale sono menzionati lo sforzo compiuto, le finalità dell'impresa e la testimonianza di attaccamento della cittadinanza al proprio Principe.
In essa, infatti, si legge:
D.O.M.
OB PUBLICAM COMMODITATEM NEC NON UT FELICITER
EXCELL. DNUS. PNPS. BAPTA FILOMARINUS
HOC PERGISSET INTER CU ERGA SUOS FIDELIS SUBDITOS
AD EORU PURISSIMA SEMPER LAUDABILE GUBERNATIONE
SE FERRE DEBUISSET CIVES ROCCANENSES
EXIMIU OB EIUS AMORE HAUD EXPA VESCENDO
INTREPIDO ANIMO COMMUNIBUS SUPTIDUS
BUNC DEVASTAVERE MONTEM
JDIDUS à BRIS MDCCXXVIII
Traduzione:
- A DIO, Ottimo, Massimo. Per pubblica utilità ed anche perché l'Eccellentissimo signor Principe Don Giovambattista Filomarino potesse comodamente percorrere questa via per recarsi presso i suoi fedeli sudditi al fine di provvedere alla loro giusta e lodevole amministrazione, i cittadini rocchesi per il grande amore che hanno per lui, spontaneamente, con intrepido animo e a spese comuni, squarciarono questo monte il 15 settembre 1728 -.
ß Lapide scolpita nella roccia in località Scanno.
L'apertura di quella strada segnò una svolta nell'economia del Paese. I Filomarino cominciarono ad amare di più la residenza rocchese e decisero di eleggerla quale località preferita. Vi dimorarono per lunghi periodi dell'anno e vi organizzarono numerosi ricevimenti e feste con la partecipazione della nobiltà napoletana.
Dai registri di battesimo, esistenti nella locale Parrocchia della Natività, si rileva la presenza continua nel Castello della coppia principesca, avendo essa qui procreato nel 1728 il principino Jacob; lo battézzò nel sacello dell'Annunziata il Parroco delle due Parrocchie locali dell'Assunta e della Natività don Antonio Antico. Padrino per lettera (procura) il Pastore Angelico Viglini, dell'Ordine di S. Francesco, Vescovo dei Cappuccini. Procuratore Padre Pietro Tommaso del Baglivo, dell'Ordine dei Carmelitani. L'anno appresso gli nacque l'altro figliuolo Dominicus, il 23 ottobre di domenica, battezzato dallo stesso Arciprete di cui sopra. Padrino per procura: - Padre Giovambattista Caracciolo della Compagnia di Gesù, venuto da Napoli - cuius procuratione Pater Petrus Thomas del Baglivo Carmelitanus predictum infantem elevavit in sacro fonte, hic Rocce Aspidis. -
  • Giovanni Battista III Filomarino, principe della Rocca d' Aspro * 1749 + 1820. Matrimonio con Anna Maria Pappacoda, principessa di Triggiano * 1750 + 03.05.1775.
  • GIACOMO, Duca di Perdifumo, nato nel 01.03.1773 e morto nel 21.03.1840. Fu il 10° e l’ultimo Principe di Rocca d’Aspro.
Padre: Giovanni Battista III Filomarino, principe della Rocca d' Aspro * 1749.
Madre: Anna Maria Pappacoda, principessa di Triggiano * 1750.
Primo matrimonio: Carlotta Spinelli.
Secondo matrimonio: 15.06.1811 Rosa Cattaneo della Volta, marchesa di Montescaglioso.
Figli del primo matrimonio: - Anna Maria Filomarino, 11ª principessa della Rocca d' Aspro * 10.01.1798.
Figli del secondo matrimonio: - Felice Filomarino, principe di Triggiano; - Elena Filomarino della Rocca d' Aspro * 17.02.1820.
I Filomarino, erano sempre stati filo-francesi e, per cui i fratelli ASCANIO (Napoli, 1751 † ivi, 1799), matematico e vulcanologo, e CLEMENTE (Napoli, 1755†ivi, 1799), poeta e letterato, figli di PASQUALE duca della Torre, e di Maddalena Rospigliosi, parteggiavano per i giacobini. Il 19 gennaio 1799, poco prima della presa di Castel Sant'elmo e della proclamazione della Repubblica Napoletana, i lazzari in nome del re Ferdinando IV di Borbone, assaltarono palazzo Filomarino della Torre in largo San Giovanni Maggiore, accanto alla Cappella Pappacoda. I due fratelli, colpevoli di aver ricevuto una lettera, proveniente da Roma, nella quale si raccomandava di ricevere con i dovuti onori il generale Championnet e l’armata francese, furono catturati e condotti al Molo Piccolo, a pochi passi dall’edificio dell’Immacolatella, ove furono uccisi.
Ciò nonostante, il congiunto Giacomo fu travolto dal "ciclone" napoleonico, per cui gli furono sottratti il potere e i beni, con Sentenza dispositiva in base alle Leggi eversive all’inizio del 1800.
A quell’epoca le PROPRIETA' DEI PRINCIPI in Roccadaspide, annesse al Castello, comprendevano:
1) Migliaia di piante d'ulivo che circondavano il Castello.
2) Vigna della Corte per la coltivazione delle piante da frutta.
3) Terraforte con 300 tomoli di terreno per pascolo. In questa tenuta vi erano migliaia di piante e querceti, in seguito tagliate.
4) Massano, preferita fra le proprietà, celebre per la squisitezza dei suoi vini, ove sorgeva un palazzo principesco con una chiesetta dedicata a S. Tommaso d'Aquino, con 250 tomoli di terreno. Le colture principali erano: ficheti, vigneti, arbusti, ginestreti, ecc. Parte di tale proprietà, in seguito, passò a Ippolito Giuliani e al notaio Fortunato Iuliano.
- Il Castello già Filomarino ora Giuliani à
5) Tenuta Finocchito con uliveti, querceti, pascoli, ecc.
6) Selva delle castagne con migliaia di piante e palazzina ancora esistente.
Nella sentenza contro l’ex Feudatario e a favore dell'Università ("università"=comune) di Rocca d'Aspide, fu disposto che l’ex Principe Giacomo:
"……...
1°) Che debba pagare la bonatenenza attrassata (arretrata).
2°) Che debba rilasciarle i seguenti fondi: - S. Angiolo, di moggia 50 (un'antica unità di misura = a 3.364,86 m2), posto nella montagna di essa Terra; - Massano, di moggia 150; - Vicitello, di moggia 80; - le Difese, denominate "la Cerrina", di moggia 80; - la Vigna Vecchia, pure di moggia 80; - Terraforte, anche di moggia 80; - l'Isca, di moggia 80 con un arbusto di moggia 30 nel luogo detto "la Parata".
3°) Che non debba impedire ai cittadini la coltura dei demani denominati: Macchia di Massari e Saliconi.
4°) Che debba astenersi da proibire i cittadini di servirsi dell’acqua che scorre dalla pubblica fontana.
5°) Che non debba impedire il corso delle acque che vanno ad animare i molini costrutti (costruiti) dai cittadini.
Omissis………
Considerando che per parte dell'ex feudatario siasi con istanza dato il consenso di dare all'Unità (Università) tanti beni fondi a sua scelta quanti vengono a coprire il valore di ducati DUEMILA. Considerando sul quarto e quinto che la fontana sia pubblica e che secondo la legge, le acque sono libere a tutti; Diffinitivamente (definitivamente) decide e dichiara:
1° Paghi l'ex feudatario, Principe di Perdifumo, Giacomo Filomarino, la bonatenenza dal dì del Catasto, e tutti gli altri pesi straordinari dal tempo che furoon imposti e se ne commetta la liquidazione al Razionale Negri.
2° Sia l'Università di Rocca d'Aspide messa nel possesso della parte dei fondi dedotti, equivalenti alla somma di ducati duemila, da estimarsi da tre periti da elegersi (eleggersi) dal Procuratore Regio del Tribunale di prima istanza della Provincia.
3° Dichiara che la fontana sia publica (pubblica), e che le acque siano di tutti, ai termini della Legge. Nulla per le spese della lite. Fatto in Napoli il dì 22 marzo 1810 da' signori Giudici: Saponara, Franchini, Pedicini, Martucci.
Per copia conforme
Giuseppe De Marinis – Cancelliere (*)
(*) - Archivio di Stato di Salerno: - "Atti demaniali del Comune di Roccadaspide ", B. 569 - Fase 2 Il 3.
I beni dei Principi Filomarino erano amministrati dai membri della Famiglia GIULIANI, che nel corso dei citati avvenimenti ne divennero compratori.
In ogni centro abitato, sia pur piccolo, all'interno delle comunità ivi formatesi, si affermarono nel corso dei secoli delle famiglie, che ebbero la funzione di guida. Qualcosa di simile avvenne anche a Roccadaspide con la famiglia GIULIANI.
Già nel 1714, II clero e l’Università di Roccadaspide concessero, con atto pubblico rogato per mano del notaio Gennaro Crescella in data 9 dicembre, alla famiglia Giuliani la cappella di Santa Caterina, sita all'interno della chiesa parrocchiale.
Nella seconda meta del '700 alcuni membri della famiglia, sono ricordati nelle fonti ufficiali per incarichi o altre vicende, come Maurizio, Procuratore del Conservatorio delle Monache nel 1769 (*).
(*) - Protocolli Notarili, notaio Cappello Antonio, bs. 4742, a. 1769, f. 4r. Maurizio, insieme al reverendo Eugenio ed al notaio Giuseppe Antonio Crescella, aveva in subaffitto il feudo di Carritiello, appartenente alla Commenda di S. Giovanni in Fonte di Padula dell'Ordine dei Gerosolomitani (lVI, notaio Peduto Rosario, bs. 4748, a. 1775, pp. 53v-61v) -.
Gaetano, figlio di Maurizio, escluso dall'ordinazione sacerdotale nel 1796, tra le altre cose, perché "ritenuto immeritevole d'essere promosso agli ordini, per essere uno degli annotati del 1792 come atti alle armi, che debbono sempre star pronti di accorrere armati al bisogno".
Giacomo Giuliani, durante la reazione sanfedista del 1799, lo ritroviamo impegnato nel finanziare le truppe sanfediste e, in particolare, il capo "insurgente" Mastro Marco Freda, al quale consegnò 80 ducati per il sostentamento della gente armata.
L'importanza della famiglia, già in quell'epoca divisa in due rami, ci è confermata in una relazione del 19 marzo 1801 di Francesco Avallone, pubblico apprezzatore, che dichiarava sul conto di Gabriele: "- Tiene tre altri fratelli, li quali stanno assai comodi, possedendo più migliaia, essendo la casa del comune loro Padre la più ricca del Paese -".
Gabriele, figlio di Giacomo, nel 1810 era Procuratore e Cassiere generale della Camera Principale dell'Illustre Principe Giacomo Filomarino.
Le fortune della famiglia subirono una netta evoluzione nella prima meta del1'800, grazie all’opera di uomini proprio come Gabriele, il quale riuscì ad accrescere notevolmente il patrimonio della famiglia, soprattutto con l'acquisto di buona parte dei beni della famiglia Filomarino e, in particolare, del Castello, divenuto residenza della famiglia fino ai nostri giorni.

Enzo Crescella

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